LA VERITA’ di Luigi Pirandello |
Saru Argentu, inteso Tararà, appena introdotto nella gabbia
della squallida Corte d’Assise, per prima cosa cavò di tasca un ampio
fazzoletto rosso di cotone a fiorami gialli, e lo stese accuratamente su uno
dei gradini della panca, per non sporcarsi, sedendo, l’abito delle feste, di
greve panno turchino. Nuovo l’abito, e nuovo il fazzoletto.
Seduto, volse la faccia e sorrise a tutti i contadini che gremivano, dalla ringhiera in giù, la parte dell’aula riservata al pubblico. L’irto grugno raschioso, raso di fresco, gli dava l’aspetto d’uno scimmione. Gli pendevano dagli orecchi due catenaccetti d’oro.
Dalla folla di tutti quei contadini si levava denso, ammorbante, un sito di stalla e di sudore, un lezzo caprino, un tanfo di bestie inzafardate, che accorava.
Qualche donna, vestita di nero, con la mantellina di panno tirata fin sopra gli orecchi, si mise a piangere perdutamente alla vista dell’imputato, il quale invece, guardando dalla gabbia, seguitava a sorridere e ora alzava una scabra manaccia terrosa, ora piegava il collo di qua e di là, non propriamente a salutare, ma a fare a questo e a quello degli amici e compagni di lavoro un cenno di riconoscimento, con una certa compiacenza.
Perché per lui era quasi una festa, quella, dopo tanti e tanti mesi di carcere preventivo. E s’era parato come di domenica, per far buona comparsa. Povero era, tanto che non aveva potuto neanche pagarsi un avvocato, e ne aveva uno d’ufficio; ma per quello che dipendeva da lui, ecco, pulito almeno, sbarbato, pettinato e con l’abito delle feste.
Dopo le prime formalità, costituita la giuria, il presidente invitò l’imputato ad alzarsi.
– Come vi chiamate?
– Tararà.
– Questo è un nomignolo. Il vostro nome?
– Ah, sissignore. Argentu, Saru Argentu, Eccellenza. Ma tutti mi conoscono per Tararà.
– Va bene. Quant’anni avete?
– Eccellenza, non lo so.
– Come non lo sapete?
Tararà si strinse nelle spalle e significò chiaramente con l’atteggiamento del volto, che gli sembrava quasi una vanità, ma proprio superflua, il computo degli anni. Rispose:
– Abito in campagna, Eccellenza. Chi ci pensa?
Risero tutti, e il presidente chinò il capo a cercare nelle carte che gli stavano aperte davanti:
– Siete nato nel 1873. Avete dunque trentanove anni.
Tararà aprì le braccia e si rimise:
– Come comanda Vostra Eccellenza.
Per non provocare nuove risate, il presidente fece le altre interrogazioni, rispondendo da sé a ognuna: – È vero? – è vero? – Infine disse:
– Sedete. Ora sentirete dal signor cancelliere di che cosa siete accusato.
Il cancelliere si mise a leggere l’atto d’accusa; ma a un certo punto dovette interrompere la lettura, perché il capo dei giurati stava per venir meno a causa del gran lezzo ferino che aveva empito tutta l’aula. Bisognò dar ordine agli uscieri che fossero spalancate porte e finestre.
Apparve allora lampante e incontestabile la superiorità dell’imputato di fronte a coloro che dovevano giudicarlo.
Seduto su quel suo fazzolettone rosso fiammante, Tararà non avvertiva affatto quel lezzo, abituale al suo naso, e poteva sorridere; Tararà non sentiva caldo, pur vestito com’era di quel greve abito di panno turchino; Tararà infine non aveva alcun fastidio dalle mosche, che facevano scattare in gesti irosi i signori giurati, il procuratore del re, il presidente, il cancelliere, gli avvocati, gli uscieri, e finanche i carabinieri. Le mosche gli si posavano su le mani, gli svolavano ronzanti sonnacchiose attorno alla faccia, gli s’attaccavano voraci su la fronte, agli angoli della bocca e perfino a quelli degli occhi: non le sentiva, non le cacciava, e poteva seguitare a sorridere.
Il giovane avvocato difensore, incaricato d’ufficio, gli aveva detto che poteva essere sicuro dell’assoluzione, perché aveva ucciso la moglie, di cui era provato l’adulterio.
Nella beata incoscienza delle bestie, non aveva neppur l’ombra del rimorso. Perché dovesse rispondere di ciò che aveva fatto, di una cosa, cioè, che non riguardava altri che lui, non capiva. Accettava l’azione della giustizia, come una fatalità inovviabile.
Nella vita c’era la giustizia, come per la campagna le cattive annate.
E la giustizia, con tutto quell’apparato solenne di scanni maestosi, di tocchi, di toghe e di pennacchi, era per Tararà come quel nuovo grande molino a vapore, che s’era inaugurato con gran festa l’anno avanti. Visitandone con tanti altri curiosi il macchinario, tutto quell’ingranaggio di ruote, quel congegno indiavolato di stantuffi e di pulegge, Tararà, l’anno avanti, s’era sentita sorgere dentro e a mano a mano ingrandire, con lo stupore, la diffidenza. Ciascuno avrebbe portato il suo grano a quel molino; ma chi avrebbe poi assicurato agli avventori che la farina sarebbe stata quella stessa del grano versato? Bisognava che ciascuno chiudesse gli occhi e accettasse con rassegnazione la farina che gli davano.
Così ora, con la stessa diffidenza, ma pur con la stessa rassegnazione, Tararà recava il suo caso nell’ingranaggio della giustizia.
Per conto suo, sapeva che aveva spaccato la testa alla moglie con un colpo d’accetta, perché, ritornato a casa fradicio e inzaccherato, una sera di sabato, dalla campagna sotto il borgo di Montaperto nella quale lavorava tutta la settimana da garzone, aveva trovato uno scandalo grosso nel vicolo dell’Arco di Spoto, ove abitava, su le alture di San Gerlando.
Poche ore avanti, sua moglie era stata sorpresa in flagrante adulterio insieme col cavaliere don Agatino Fiorìca.
La signora donna Graziella Fiorìca, moglie del cavaliere, con le dita piene d’anelli, le gote tinte di uva turca, e tutta infiocchettata come una di quelle mule che recano a suon di tamburo un carico di frumento alla chiesa, aveva guidato lei stessa in persona il delegato di pubblica sicurezza Spanò e due guardie di questura, là nel vicolo dell’Arco di Spoto, per la constatazione dell’adulterio.
Il vicinato non aveva potuto nascondere a Tararà la sua disgrazia, perché la moglie era stata trattenuta in arresto, col cavaliere, tutta la notte. La mattina seguente Tararà, appena se la era vista ricomparire zitta zitta davanti all’uscio di strada, prima che le vicine avessero tempo d’accorrere, le era saltato addosso con l’accetta in pugno e le aveva spaccato la testa.
Chi sa che cosa stava a leggere adesso il signor cancelliere…
Terminata la lettura, il presidente fece alzare di nuovo l’imputato per l’interrogatorio.
– Imputato Argentu, avete sentito di che siete accusato?
Tararà fece un atto appena appena con la mano e, col suo solito sorriso, rispose:
– Eccellenza, per dire la verità, non ci ho fatto caso.
Il presidente allora lo redarguì con molta severità:
– Siete accusato d’aver assassinato con un colpo d’accetta, la mattina del 10 dicembre 1911, Rosaria Femminella, vostra moglie. Che avete a dire in vostra discolpa? Rivolgetevi ai signori giurati e parlate chiaramente e col dovuto rispetto alla giustizia.
Tararà si recò una mano al petto, per significare che non aveva la minima intenzione di mancare di rispetto alla giustizia. Ma tutti, ormai, nell’aula, avevano disposto l’animo all’ilarità e lo guardavano col sorriso preparato in attesa d’una sua risposta. Tararà lo avvertì e rimase un pezzo sospeso e smarrito.
– Su, dite, insomma, – lo esortò il presidente. – Dite ai signori giurati quel che avete da dire.
Tararà si strinse nelle spalle e disse:
– Ecco, Eccellenza. Loro signori sono alletterati, e quello che sta scritto in codeste carte, lo avranno capito. Io abito in campagna, Eccellenza. Ma se in codeste carte sta scritto, che ho ammazzato mia moglie, è la verità. E non se ne parla più.
Questa volta scoppiò a ridere, senza volerlo, anche il presidente.
Seduto, volse la faccia e sorrise a tutti i contadini che gremivano, dalla ringhiera in giù, la parte dell’aula riservata al pubblico. L’irto grugno raschioso, raso di fresco, gli dava l’aspetto d’uno scimmione. Gli pendevano dagli orecchi due catenaccetti d’oro.
Dalla folla di tutti quei contadini si levava denso, ammorbante, un sito di stalla e di sudore, un lezzo caprino, un tanfo di bestie inzafardate, che accorava.
Qualche donna, vestita di nero, con la mantellina di panno tirata fin sopra gli orecchi, si mise a piangere perdutamente alla vista dell’imputato, il quale invece, guardando dalla gabbia, seguitava a sorridere e ora alzava una scabra manaccia terrosa, ora piegava il collo di qua e di là, non propriamente a salutare, ma a fare a questo e a quello degli amici e compagni di lavoro un cenno di riconoscimento, con una certa compiacenza.
Perché per lui era quasi una festa, quella, dopo tanti e tanti mesi di carcere preventivo. E s’era parato come di domenica, per far buona comparsa. Povero era, tanto che non aveva potuto neanche pagarsi un avvocato, e ne aveva uno d’ufficio; ma per quello che dipendeva da lui, ecco, pulito almeno, sbarbato, pettinato e con l’abito delle feste.
Dopo le prime formalità, costituita la giuria, il presidente invitò l’imputato ad alzarsi.
– Come vi chiamate?
– Tararà.
– Questo è un nomignolo. Il vostro nome?
– Ah, sissignore. Argentu, Saru Argentu, Eccellenza. Ma tutti mi conoscono per Tararà.
– Va bene. Quant’anni avete?
– Eccellenza, non lo so.
– Come non lo sapete?
Tararà si strinse nelle spalle e significò chiaramente con l’atteggiamento del volto, che gli sembrava quasi una vanità, ma proprio superflua, il computo degli anni. Rispose:
– Abito in campagna, Eccellenza. Chi ci pensa?
Risero tutti, e il presidente chinò il capo a cercare nelle carte che gli stavano aperte davanti:
– Siete nato nel 1873. Avete dunque trentanove anni.
Tararà aprì le braccia e si rimise:
– Come comanda Vostra Eccellenza.
Per non provocare nuove risate, il presidente fece le altre interrogazioni, rispondendo da sé a ognuna: – È vero? – è vero? – Infine disse:
– Sedete. Ora sentirete dal signor cancelliere di che cosa siete accusato.
Il cancelliere si mise a leggere l’atto d’accusa; ma a un certo punto dovette interrompere la lettura, perché il capo dei giurati stava per venir meno a causa del gran lezzo ferino che aveva empito tutta l’aula. Bisognò dar ordine agli uscieri che fossero spalancate porte e finestre.
Apparve allora lampante e incontestabile la superiorità dell’imputato di fronte a coloro che dovevano giudicarlo.
Seduto su quel suo fazzolettone rosso fiammante, Tararà non avvertiva affatto quel lezzo, abituale al suo naso, e poteva sorridere; Tararà non sentiva caldo, pur vestito com’era di quel greve abito di panno turchino; Tararà infine non aveva alcun fastidio dalle mosche, che facevano scattare in gesti irosi i signori giurati, il procuratore del re, il presidente, il cancelliere, gli avvocati, gli uscieri, e finanche i carabinieri. Le mosche gli si posavano su le mani, gli svolavano ronzanti sonnacchiose attorno alla faccia, gli s’attaccavano voraci su la fronte, agli angoli della bocca e perfino a quelli degli occhi: non le sentiva, non le cacciava, e poteva seguitare a sorridere.
Il giovane avvocato difensore, incaricato d’ufficio, gli aveva detto che poteva essere sicuro dell’assoluzione, perché aveva ucciso la moglie, di cui era provato l’adulterio.
Nella beata incoscienza delle bestie, non aveva neppur l’ombra del rimorso. Perché dovesse rispondere di ciò che aveva fatto, di una cosa, cioè, che non riguardava altri che lui, non capiva. Accettava l’azione della giustizia, come una fatalità inovviabile.
Nella vita c’era la giustizia, come per la campagna le cattive annate.
E la giustizia, con tutto quell’apparato solenne di scanni maestosi, di tocchi, di toghe e di pennacchi, era per Tararà come quel nuovo grande molino a vapore, che s’era inaugurato con gran festa l’anno avanti. Visitandone con tanti altri curiosi il macchinario, tutto quell’ingranaggio di ruote, quel congegno indiavolato di stantuffi e di pulegge, Tararà, l’anno avanti, s’era sentita sorgere dentro e a mano a mano ingrandire, con lo stupore, la diffidenza. Ciascuno avrebbe portato il suo grano a quel molino; ma chi avrebbe poi assicurato agli avventori che la farina sarebbe stata quella stessa del grano versato? Bisognava che ciascuno chiudesse gli occhi e accettasse con rassegnazione la farina che gli davano.
Così ora, con la stessa diffidenza, ma pur con la stessa rassegnazione, Tararà recava il suo caso nell’ingranaggio della giustizia.
Per conto suo, sapeva che aveva spaccato la testa alla moglie con un colpo d’accetta, perché, ritornato a casa fradicio e inzaccherato, una sera di sabato, dalla campagna sotto il borgo di Montaperto nella quale lavorava tutta la settimana da garzone, aveva trovato uno scandalo grosso nel vicolo dell’Arco di Spoto, ove abitava, su le alture di San Gerlando.
Poche ore avanti, sua moglie era stata sorpresa in flagrante adulterio insieme col cavaliere don Agatino Fiorìca.
La signora donna Graziella Fiorìca, moglie del cavaliere, con le dita piene d’anelli, le gote tinte di uva turca, e tutta infiocchettata come una di quelle mule che recano a suon di tamburo un carico di frumento alla chiesa, aveva guidato lei stessa in persona il delegato di pubblica sicurezza Spanò e due guardie di questura, là nel vicolo dell’Arco di Spoto, per la constatazione dell’adulterio.
Il vicinato non aveva potuto nascondere a Tararà la sua disgrazia, perché la moglie era stata trattenuta in arresto, col cavaliere, tutta la notte. La mattina seguente Tararà, appena se la era vista ricomparire zitta zitta davanti all’uscio di strada, prima che le vicine avessero tempo d’accorrere, le era saltato addosso con l’accetta in pugno e le aveva spaccato la testa.
Chi sa che cosa stava a leggere adesso il signor cancelliere…
Terminata la lettura, il presidente fece alzare di nuovo l’imputato per l’interrogatorio.
– Imputato Argentu, avete sentito di che siete accusato?
Tararà fece un atto appena appena con la mano e, col suo solito sorriso, rispose:
– Eccellenza, per dire la verità, non ci ho fatto caso.
Il presidente allora lo redarguì con molta severità:
– Siete accusato d’aver assassinato con un colpo d’accetta, la mattina del 10 dicembre 1911, Rosaria Femminella, vostra moglie. Che avete a dire in vostra discolpa? Rivolgetevi ai signori giurati e parlate chiaramente e col dovuto rispetto alla giustizia.
Tararà si recò una mano al petto, per significare che non aveva la minima intenzione di mancare di rispetto alla giustizia. Ma tutti, ormai, nell’aula, avevano disposto l’animo all’ilarità e lo guardavano col sorriso preparato in attesa d’una sua risposta. Tararà lo avvertì e rimase un pezzo sospeso e smarrito.
– Su, dite, insomma, – lo esortò il presidente. – Dite ai signori giurati quel che avete da dire.
Tararà si strinse nelle spalle e disse:
– Ecco, Eccellenza. Loro signori sono alletterati, e quello che sta scritto in codeste carte, lo avranno capito. Io abito in campagna, Eccellenza. Ma se in codeste carte sta scritto, che ho ammazzato mia moglie, è la verità. E non se ne parla più.
Questa volta scoppiò a ridere, senza volerlo, anche il presidente.
Eccellenza, dico la verità, – riprese Tarara, questa volta con tutt’e due le mani sul petto. – E la verità è questa: che era come se io non lo sapessi! Perché la cosa… sì, Eccellenza, mi rivolgo ai signori giurati; perché la cosa, signori giurati, era tacita, e nessuno dunque poteva venirmi a sostenere in faccia che io la sapevo. Io parlo così, perché abito in campagna, signori giurati. Che può sapere un pover uomo che butta sangue in campagna dalla mattina del lunedì alla sera del sabato? Sono disgrazie che possono capitare a tutti! Certo, se in campagna qualcuno fosse venuto a dirmi: «Tarara, bada che tua moglie se l’intende col cavaliere Fiorìca», io non ne avrei potuto fare di meno, e sarei corso a casa con l’accetta a spaccarle la testa. Ma nessuno era mai venuto a dirmelo, signor presidente; e io, a ogni buon fine, se mi capitava qualche volta di dover ritornare al paese in mezzo della settimana, mandavo avanti qualcuno per avvertirne mia moglie. Questo, per far vedere a Vostra Eccellenza, che la mia intenzione era di non fare danno. L’uomo è uomo, Eccellenza, e le donne sono donne. Certo l’uomo deve considerare la donna, che l’ha nel sangue d’essere traditora, anche senza il caso che resti sola, voglio.dire col marito assente tutta la settimana; ma la donna, da parte sua, deve considerare l’uomo, e capire che l’uomo non può farsi beccare la faccia dalla gente, Eccellenza! Certe ingiurie… sì, Eccellenza, mi rivolgo ai signori giurati; certe ingiurie, signori giurati, altro che beccare, tagliano la faccia all’uomo! E l’uomo non le può sopportare! Ora io, padroni miei, sono sicuro che quella disgraziata avrebbe avuto sempre per me questa considerazione; e tant’è vero, che io non le avevo mai torto un capello. Tutto il vicinato può venire a testimoniare! Che ci ho da fare io, signori giurati, se poi quella benedetta signora, all’improvviso… Ecco, signor presidente, Vostra Eccellenza dovrebbe farla venire qua, questa signora, di fronte a me, che saprei parlarci io! Non c’è peggio… mi rivolgo a voi, signori giurati, non c’è peggio delle donne cimentose! «Se suo marito», direi a questa signora, avendola davanti, «se suo marito si fosse messo con una zitella, vossignoria si poteva prendere il gusto di fare questo scandalo, che non avrebbe portato nessuna conseguenza, perché non ci sarebbe stato un marito di mezzo. Ma con quale diritto vossignoria è venuta a inquietare me, che mi sono stato sempre quieto; che non c’entravo né punto, né poco; che non avevo voluto mai né vedere, né sentire nulla; quieto, signori giurati, ad affannarmi il pane in campagna, con la zappa in mano dalla mattina alla sera? Vossignoria scherza?» le direi, se l’avessi qua davanti questa signora. «Che cosa è stato lo scandalo per vossignoria? Niente! Uno scherzo! Dopo due giorni ha rifatto pace col marito. Ma non ha pensato vossignoria, che c’era un altro uomo di mezzo? e che quest’uomo non poteva lasciarsi beccare la faccia dal prossimo, e che doveva far l’uomo? Se vossignoria fosse venuta da me, prima, ad avvertirmi, io le avrei detto: “Lasci andare, signorina! Uomini siamo! E l’uomo, si sa, è cacciatore! Può aversi a male vossignoria d’una sporca contadina? Il cavaliere, con lei, mangia sempre pane fino, francese; lo compatisca se, di tanto in tanto, gli fa gola un tozzo di pane di casa, nero e duro!”». Così le avrei detto, signor presidente, e forse non sarebbe accaduto nulla, di quello che purtroppo, non per colpa mia, ma per colpa di questa benedetta signora, è accaduto.
Il presidente troncò con una nuova e più lunga scampanellata i commenti, le risa, le svariate esclamazioni, che seguirono per tutta l’aula la confessione
Questa dunque è la vostra tesi? – domandò poi all’imputato. Tarara, stanco, anelante, negò col capo.
– Nossignore. Che tesi? Questa è la verità, signor presidente.
E in grazia della verità, così candidamente confessata, Tarara fu condannato a tredici anni di reclusione.
LA CONDIZIONE DELLA DONNA: IERI.. OGGI.. DOMANI… RIFLESSIONI
Questa novella lascia l'amaro riso tipico di Pirandello che ti fa capire come siano "ridicole", tante cose sbagliate come il femminicidio o il delitto d'onore in questo caso. Anche se sembra un fenomeno che avveniva solo in passato, in realtà è, sfortunatamente, ancora esistente nelle forme più di diverse quali gelosia, possessione... Da sempre la donna è stata considerata "oggetto" o "essere inferiore" e mai messa allo stesso livello dell'uomo anche se ha dimostrato di poter essere alla sua pari. La donna non è proprietà dell'uomo, diventando sua moglie non diventa una delle sue cose, ma purtoppo molti hanno ancora questa mentalità.
RispondiEliminaFinchè ci saranno uomini violenti e possessivi, e donne che non avranno la forza di denunciare ci saranno figli che in futuro picchieranno la propria moglie perchè cresciuti con modelli sbagliati, modelli di padre che non amano. L'amore non è fatto di gelosia e possessione, chi ama ti rispetta e non alza nemmeno un dito se non per prendersi cura di te.
VIOLACA002
Leggendo la novella di Pirandello,laddove il protagonista racconta di aver ucciso la moglie per il parere degli altri,mi sono soffermata a riflettere sulla donna,su i suoi diritti e la sua libertà.
RispondiEliminaNell'antica Grecia alle donne andava proibito uscire di casa,partecipare a eventi sportivi,votare.
Aveva solo il ruolo di accudire i figli e occuparsi della casa ...
Con il passare degli anni la donna ha acquisito i propri diritti,ottenendo l'uguaglianza e alcune libertà.
Infatti oggi troviamo donne sindaco,lavoratrici,scienziate,capi di stato ma tuttavia in alcune zone orientali è ancora considerata come un oggetto,poiché costretta a coprirsi il volto con una tunica e un velo che lascia scoperti solo gli occhi e ad essere subordinata ad un uomo.
Ella è soggetta a casi di violenza dovuta a gelosie e per paura di ribellarsi viene uccisa.
Si spera che in futuro le cose migliorino,non ci siano più disuguaglianze e che la donna venga rispettata.
Questa novella lascia l'amaro riso tipico di Pirandello che ti fa capire come siano "ridicole", tante cose sbagliate come il femminicidio o il delitto d'onore in questo caso. Anche se sembra un fenomeno che avveniva solo in passato, in realtà è, sfortunatamente, ancora esistente nelle forme più di diverse quali gelosia, possessione... Da sempre la donna è stata considerata "oggetto" o "essere inferiore" e mai messa allo stesso livello dell'uomo anche se ha dimostrato di poter essere alla sua pari. La donna non è proprietà dell'uomo, diventando sua moglie non diventa una delle sue cose, ma purtoppo molti hanno ancora questa mentalità.
RispondiEliminaFinchè ci saranno uomini violenti e possessivi, e donne che non avranno la forza di denunciare ci saranno figli che in futuro picchieranno la propria moglie perchè cresciuti con modelli sbagliati, modelli di padre che non amano. L'amore non è fatto di gelosia e possessione, chi ama ti rispetta e non alza nemmeno un dito se non per prendersi cura di te.
VIOLACA002
La condizione della donna è cambiata molto nel corso degli
RispondiEliminaanni. Anticamente era considerata inferiore rispetto all'uomo e non poteva lavorare a causa di questa differenza tra i due sessi. La donna, in Grecia, non poteva neanche partecipare ai giochi olimpici, poiché era considerata una vera e propria serva dell'uomo e a causa di queste condizioni, tante volte era anche malmenata. Con il passare del tempo, ci sono state donne capaci di dare una svolta. Le protagoniste rivoluzionarie sono: Margaret Heafield Hamilton direttrice di ingegneria informatica per il programma spaziale "Apollo" della NASA(1969), Marie Curie, che vinse il premio Nobel per ben due volte, ed infine Emma Watson, che riscosse grande successo in ambito cinematografico e fondò un'associazione chiamata HE FOR SHE coinvolgendo tutti gli uomini del mondo. Così le donne sono riuscite ad avere un posto in politica, a lavoro e in banca. Tutt'oggi essa è ancora discriminata.
In TV si parla tanto di stupri e di altre violenze sulle donne.
La mentalità di alcuni uomini è ancora arcaica.
In futuro si spera che la situazione migliori sempre di più.
Io spero che queste violenze finiscano perché non se ne può più. BASTA ALLA VIOLENZA, ALLE DISCRIMINAZIONI !!!
BLUCA009
Anticamente la donna veniva considera inferiore, esclusa dalle attività: politiche, sportive e sociale. Nell’antica Grecia le era proibito partecipare a eventi sportivi e candidarsi alle cariche pubbliche, non aveva diritto di voto e non poteva esercitare la propria volontà. Il suo dovere era quello di vedere alla faccenda dimestiche e di accudire i propri figli. Oggi la donna ricopre incarichi in azienda, nella politica e in qualsiasi ambito lavorativo, anche se in oriente la donna è considerata ancora come un oggetto e non ha libertà come la donna Occidentale. Purtroppo tuttavia è ancora vittima di violenza che spesso si svolge dentro le mura domestiche. La novella di Pirandello ci offre un quadro abbastanza esaustivo della violenza e discriminazione perpetrata nei confronti del genere femminile (il protagonista Saru Argentu, uccide la moglie per delitto d’onore).
RispondiEliminaIl femminicidio in Italia è molto diffuso, infatti ogni tre giorni una donna viene uccida da un marito, da un fidanzato o ex fidanzato. Il motivo principale che spinge l’uomo così oltre è il non considerarle come individui indipendenti e con il diritto di autodeterminarsi. Per prevenire questa violenza è stato approvato il decreto contro il femminicidio.
Grandi artisti letterati,come per esempio Dante,Petrarca o Boccaccio menzionano la figura della donna nelle loro opere,elegiandola per le sue grandi imprese;pittori cercarono di raffigurare il suo splendore in preziosi quadri come per esempio la Gioconda;musicisti parlano di loro come muse ispiratrici,che aiutarono gli uomini a comporre grandi opere. Nel futuro prossimo vedo le donne libere di vivere tranquillamente al pari degli uomini,libere di fare le proprie scelte senza continui pregiudizi. Io sono arrivata alla conclusione che le donne possono ottenere tutto ciò che vogliono usando l’astuzia e la pazienza e mantenendo un carattere forte nei confronti del sesso opposto.
RispondiEliminaLa condizione della donna e il suo ruolo nella società si è evoluto molto nel corso del tempo. Ella è sempre stata discriminata e considerata inferiore all’uomo, la novella di Pirandello ne è un esempio. Nella prima metà del secolo scorso in Italia picchiare la propria moglie non era reato ed esisteva il delitto d’onore. L’unico ruolo della donna era quello di madre all’interno della famiglia. Grazie a grandi esempi femminili, come Montalcini, Montessori... per citarne alcune, la donna si è emancipata sempre di più. Oggi essa ha ottenuto l’uguaglianza con l’uomo sul piano dei diritti e può ricoprire qualsiasi ruolo diventando padrona della sua vita. Nonostante questo, non sono pochi i casi di femminicidio, stupri, violenze domestiche e disuguaglianza in campo politico e lavorativo che la donna ancora è costretta a subire. Questo dimostra che la lotta contro la discriminazione femminile non è ancora finita.
RispondiEliminaPer il futuro si spera che le sue condizioni migliorino sempre di più e che riesca finalmente a essere libera da questa insensata disuguaglianza.
Io non sono un maschilista.Definisco la donna un essere superiore in assoluto.È giusto che abbia conseguito gli stessi diritti e doveri degli uomini:diritto al voto,al lavoro negli uffici pubblici,svolgere anche servizio nelle forze dell'ordine,lavoro domestico(i figli assieme al marito o compagno).Insomma la donna deve essere sullo stesso gradino dell'uomo e lottare ancora per conquistare altri diritti ma deve denunciare chi vuole tarparle le ali,perché ella deve essere libera di volare come una farfalla.
RispondiEliminaLeggendo la novella di Pirandello mi sono soffermata a riflettere sulla donna. Una volta le donne non avevano la propria libertà, i propri diritti ed erano considerate inferiori all’uomini. Fin da bambine dovevano fare ciò che diceva il padre ed una volta sposate dovevano fare ciò che diceva il marito. Ma per fortuna, con il passare del tempo, la condizione della donna è migliorata, ma ancora non del tutto. Voglio un futuro migliore per la donna, in cui poter essere “se stessa”, vestirsi come vuole, senza essere considerata una poco di buono. E per gli uomini che commettono delitti contro di lei infliggerei pene più dure, pure l’ergastolo. La donna deve essere forte e combattere contro tutto ciò senza mai arrendersi. Spero che un giorno la donna sia rispettata in tutto il mondo.
RispondiEliminaNella novella di Pirandello, il protagonista uccide la moglie perché di lei si era detto male. Questo mi ha fatto pensare alla condizione della donna, ai suoi diritti e alla sua libertà. Ricordando il periodo storico dell'antica Grecia nel quale la donna era considerata inferiore all'uomo e alla quale non veniva concesso di avere una vita sociale,ma semplicemente le era permesso solo di accudire i figli e la casa. Fortunatamente,col passare del tempo la donna ha ottenuto sempre più diritti a livello sociale e a livello politico... Ella,infatti,ha una sua identità e personalità e nessuno può calpestarla o farle del male. La si può considerare un individuo superiore solo per il semplice fatto che genera altra vita,ma alle volte,dal genere maschile viene ritenuta inferiore. A volte capita che tra le mura domestiche si verificano casi di violenza e di sottomissione alle donne da parte degli uomini,in particolar modo quando lei tenta di ribellarsi. Questi episodi portano a modelli sbagliati per i figli,i quali crescono in un ambiente nel quale c'è solo violenza, e trasmette un significato sbagliato dell'amore. Spero tanto che in futuro gli uomini capiscano il valore della donna,comprendendo che lei merita rispetto,amore e libertà.
RispondiEliminaLeggendo la novella di Pirandello mi sono soffermata a riflettere sulla donna. Una volta le donne non avevano la propria libertà, i propri diritti ed erano considerate inferiori all’uomini. Fin da bambine dovevano fare ciò che diceva il padre ed una volta sposate dovevano fare ciò che diceva il marito. Ma per fortuna, con il passare del tempo, la condizione della donna è migliorata, ma ancora non del tutto. Voglio un futuro migliore per la donna, in cui poter essere “se stessa”, vestirsi come vuole, senza essere considerata una poco di buono. E per gli uomini che commettono delitti contro di lei infliggerei pene più dure, pure l’ergastolo. La donna deve essere forte e combattere contro tutto ciò senza mai arrendersi. Spero che un giorno la donna sia rispettata in tutto il mondo.
RispondiEliminaAnticamente la donna veniva considerata inferiore sia per l'aspetto fisicamente e sia per capacità.Veniva esclusa dalle attività di tutti i giorni:politica,sportiva,sociale.Col tempo,la loro situazione inizia a migliorare,fino ai nostri giorni.Tuttavia,la donna è ancora soggetta a episodi di disugualianza.Ogni anno si verificano molti casi in cui la donna viene stuprata,violentata o addirittura uccisa.Molte di loro non hanno il coraggio di ribellarsi perché spesso sono intimorite e minacciate dagli uomini. In futuro si spera che la loro condizione migliori sempre di più in ogni ambito grazie alle leggi fatte appositamente per la donna, la vigilanza delle forze dell'ordine, educazione e scuola ma soprattutto in TV.
RispondiEliminaIl cammino della donna nella storia, è stato pieno di ostacoli e ricchissimo di pregiudizi, ma proprio per questo, la sua lotta è stata ancora ricca di grandi traguardi e di grandi vittorie. Nel medioevo la donna viene vista in due modi completamente opposti: Angelica e spirituale o stregonesco e maligno ed è relegata a ruolo di madre e moglie piegata al potere dell'uomo. La situazione inizia a cambiare nell'ottocento, quando la forza lavoro della donna comincia ad avere un'importante peso nella società industriale, soprattutto dal punto di vista economico e produttivo. Comincia così sua lotta per per il riconoscimento per la parità dei diritti. La donna oggi è lavoratrice e cittadina, e non può più sottostare al potere dell'uomo, padre e marito. Per il futuro si spera che la condizione della donna migliori.
RispondiEliminaNegli anni,la condizione femminile,ha subito notevoli cambiamenti. Anticamente la donna,considerata un essere debole,inferiore sia fisicamente che culturalmente;aveva il dovere di accudire i figli e la casa. Non aveva la libertà di pensiero,nè diritto di voto,doveva solo sottostare al volere del padre e del marito. Successivamente tutto ciò è cambiato: la donna,agli occhi dell’uomo era indispensabile,un angelo che guidava coloro che peccavano alla salvazione,una mediatrice fra l’uomo e Dio;come affermano diversi poeti come Dante,Cavalcanti...Oggi,nonostante l’evoluzione della condizione femminile;centinaia di donne vengono stuprate,violentate è molto spesso uccise a causa di compagni violenti. La donna deve e sarà sempre più autonoma,più forte.
RispondiEliminaIl ruolo della donna è stato considerato inferiore rispetto all’uomo,sul piano sociale, giuridico e politico. Con il tempo la donna ha acquisito i giusti diritti ottenendo pari dignità rispetto all’uomo. Ma il problema ancora presente è che lei è oggetto di violenze che spesso si attuono dentro le mura domestiche perché l’uomo non accetta di considerarla un essere umano e non un suo oggetto. La gelosia e l’aggressività è spessa causa di queste violenze e cesserà solo quando le donne avranno il coraggio di denunciare.
RispondiEliminaVIOLACA007